il mattinale mercoledì 28 agosto
Le Marche fanalino di coda per
competitività
I LIMITI DI SEMPRE
di Mariangela Paradisi,
dal Corriere Adriatico di oggi
Si sapeva, e dunque è solo una conferma. Che le Marche
fossero il fanalino di coda delle regioni italiane del Centro-Nord, per
competitività, intendo, - quelle del Sud fanno storia a sé. Su 262 regioni dell’Europa
a 27, le Marche si piazzano al 177° posto. È quanto ci fa sapere la Commissione Europea. Si sapeva
per chi lo voleva vedere, ovviamente. Non i politici e i pubblici
amministratori, dunque.
Vero, l’indice di cui si parla è composto da
indicatori di contesto anche non strettamente riguardanti l’attività delle
imprese. Ma la sostanza non cambia. Le Marche manifatturiere – “le più
manifatturiere d’Europa”, come si insiste a ripetere – scontano i limiti di
sempre: eccesso di imprese piccole e di lavoro manifatturiero relativamente
improduttivo e, dunque, valore aggiunto insufficiente a sostenere il peso della politica. Del resto,
il Pil regionale arranca nella più
incosciente miopia della politica.
Che fare, dunque? Innanzitutto non ripetere gli errori
del passato. Se infatti possiamo infischiarcene della regione olandese di Utrecht
prima in graduatoria: il nostro sistema produttivo non è in competizione con
loro, ma mangiare la polvere di regioni italiane che generano Pil grazie a
imprese dirette concorrenti delle nostre non è certo incoraggiante quando si
spera di ricominciare a vendere. Mi riferisco al Veneto (158° posto), Toscana (160°)
e Umbria (167°). E che dire delle regioni dei paesi dell’est verso le quali l’Europa
ha portato le proprie competenze e che ora sono in grado di competere con noi,
la regione polacca della Slesia, per esempio? Si chiama “teoria del ciclo del
prodotto” in economia, e illustra la naturale evoluzione – prevista e
prevedibile – della composizione degli scambi internazionali. Mi pare che ai
nostri pubblici amministratori risulti ostica, la teoria.
L’Europa, del resto, pare non interessi i nostri
policy maker. Le nostre imprese sono state (so)spinte – poche, perché molte non
ne hanno convenienza – ad esportare in Cina, Brasile, Russia, paesi a più basso
reddito pro-capite dove gli acquirenti sono meno esigenti, di fatto
disincentivando l’innovazione della produzione e dell’organizzazione d’impresa.
Dunque, primo punto: la vogliamo riscoprire, questa Europa? Vogliamo spingere
le imprese verso paesi e mercati più simili al nostro, che stimolino la loro
capacità di competere?
Secondo punto. La politica industriale regionale è
sempre stata caratterizzata da stratificazioni successive –a buccia di cipolla,
verrebbe da dire – di interventi che sempre aggiungevano, e mai toglievano
snellendo il sistema e consentendo il suo fisiologico rinnovamento. Dalle inutili partecipate che hanno tolto
spazio all’iniziativa privata nel settore dei servizi: Cosmob, Meccano, Svim,
tanto per citarne alcune, alle leggi di finanziamento a pioggia anche per le
imprese cui sarebbe stato meglio staccare la spina: Sabatini, Artigiancassa,
fino alla famigerata Legge Bersani sui distretti, ridotti a bacini di
consenso elettorale.
E ora? Ora, aggiungendo altra buccia alla cipolla,
ecco la proposta per una “Piattaforma
fisica” di ricerca per gli elettrodomestici: idea quanto di più obsoleta, distorsiva,
improvvida, dilapidatoria di risorse pubbliche, che potesse venire in mente. E
si potrebbe continuare.
Un serio impegno a migliorare le condizioni ambientali
e istituzionali in cui le imprese operano non sarebbe meglio? Una bella
piattaforma fisica per la riforma della burocrazia e della politica, per
esempio. Perché anche se si sapeva che siamo ultimi, l’amaro in bocca c’è lo
stesso: il “saper fare” delle Marche non è di certo secondo a nessuno”.
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